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  Slow Food Lentini (SR) - Italia

L'arancia rossa sul New York Times
 

Nella primavera del 2005 Slow Food Lentini ha accompagnato il cuoco-giornalista Oliver Schwaner-Albright in una escursione di più giorni fra gli agrumeti del lentinese dove si coltiva l'arancia rossa. Dopo aver visitato i magazzini per la lavorazione degli agrumi, l'itinerario si è concluso alla tavola di alcuni locali dove si celebra il trionfo gastronomico di questo frutto unico al mondo.

THE DARK STAR
Oliver Schwaner-Albright, The New York Times Style Magazine
6 novembre 2005

La Stella scura

Lentini è una sosta improbabile per chiunque si trovi a viaggiare in Italia. E’ una cittadina non molto attraente e si trova a 15 miglia a sud di Catania, la seconda città della Sicilia per dimensione. C’è una piazza barocca a forma di cuneo nel centro e un buon ristorante nel gomitolo di strade, ma è un attivo centro agricolo e non fareste la deviazione per Lentini a meno di non essere coinvolto nell’attività di raccolta, lavorazione o trasporto delle arance rosse.

Le arance dalla polpa color del sangue (arance rosse per gli Italiani) è probabile che in America da prodotto di nicchia siano diventate frutto per il mercato di massa, ma raramente le s’incontra al di là dei menù dei dolci o delle liste dei cocktail. Tuttavia, nell’angolo sud orientale della Sicilia, dove le arance rosse sono coltivate, le tre varietà – moro, tarocco e sanguinello – compaiono in ogni parte del pasto: con tonno sott’olio e aglio a guarnire le linguine; in salsa di accompagnamento per il cinghiale; con il pesce spada; nel risotto e in insalata col sale e le spezie.

Sono andato a Lentini per imparare come si cucinano questi piatti e per incontrare Salvatore Giuffrida, un uomo arruffato e raffinato dall’aria da professore, con la passione per l’arancia rossa.Dopo esserci incontrati in un piccolo ufficio tappezzato di poster di arance rosse, siamo andati a conoscere Salvatore Scrofani, che è proprietario di un’azienda di 100 acri. La maggior parte degli aranceti ha una superficie minore di 25 acri, ma quello di Scrofani è uno dei più grandi. Era la fine di marzo e l’azienda era nel pieno della raccolta.  Giuffrida aveva portato con noi anche il suo amico Rosario Scifo. Tanto Giuffrida è alto e serio, quanto Scifo è basso e chiacchierone.

   

L’aria nell’aranceto di Scrofani era piena dello stormire intenso delle foglie e dello schioccare dei rami provocati dai raccoglitori che ripulivano gli alberi. Puntando verso le arance, abbiamo mangiato la frutta raccolta direttamente dagli alberi. Io ho divorato un grande tarocco pieno di succo e due sapori si avvertivano distintamente: prima una rotonda dolcezza, poi una punta acida. Aveva la piacevolezza di un’arancia navel e l’asprezza di un limone.

Il colore del sangue nell’arancia è dato dall’antocianina, lo stesso pigmento che rende i mirtilli blu e l’uva violetta. Le prime arance rosse sono apparse come mutazioni e solo nel 18mo secolo si è cominciato a coltivarle grazie al loro sapore. La maggior parte delle arance rosse coltivate negli Stati Uniti sono moro, la varietà a più alto grado di acidità. In Sicilia non c’è molta considerazione del  moro, mentre  invece apprezzano i sapori complessi del tarocco e del sanguinello. Quasi nessuna delle arance rosse di Sicilia arriva nei nostri mercati. Le cooperative di lavorazione sono troppo piccole per un mercato come il nostro. Per questo, a meno di averne provata una in Europa, è probabile che non abbiate mai assaggiato un’arancia rossa come si deve.

Alla Locanda del Vinattiere, un elegante ristorante di Valverde, una cittadina sui fianchi dell’Etna, il capo chef, Nino Statella, trasforma la gelatina di arance rosse - tradizionalmente un dessert - in un ingrediente salato sostituendo zucchero con sale e accoppiandolo con carpaccio di pesce spada condito con olio d’oliva. I sapori sono semplici e forti: pesce spada crudo, succo salato di tarocco, olio di oliva nuovo. La gelatina è esplosiva, un cucchiaino di succo sospeso sui denti di una forchetta. 

Quando chiedo a Mario Gisimundo, lo chef, di mostrarmi come lo prepara, mi guarda divertito, come se avessi appena chiesto i segreti della panna montata. Salta su un pedale, una porta di vetro scorrevole si apre e lo seguo nella cucina immacolata. Lo guardo mentre scioglie la gelatina in una piccola quantità di succo riscaldato in un pentolino, e poi aggiunge del sale. Attende che la mistura si raffreddi prima di mescolarla rapidamente in un contenitore pieno di succo. Gisimundo lo filtra, quindi lo versa in uno stampo e lo mette in frigo. “Gelo” mi dice.

Durante un’altra spedizione, questa volta a Siracusa, una delle città più belle della Sicilia, siamo andati da Don Camillo, un frequentato ristorante nascosto nell’estremità più lontana di una ragnatela di strade a Ortigia, la parte della città abitata dai Greci più di 2700 anni fa. Lì la mia portata principale è a base di sottili fettine di pesce spada arrotolate intorno ad un ripieno a base di arancia rossa. Mentre la gelatina trabocca di sapore, il ripieno è delicato, con il più leggero dei tocchi di arancia. Quando lo chef, Giovanni Guarnieri, mi fa vedere come prepararlo- pangrattato fresco, pinoli, uva passa, scorza e succo di tarocco- insiste sul fatto di avere un tocco leggero e spremere solo quel tanto di succo da legare appena gli ingredienti, così che il ripieno rimanga leggero e soffice.

   

Tornati a Lentini, siamo andati a pranzo alla Maidda, un’istituzione nel quartiere. Quando lo chef, Salvatore Bordonaro, ha saputo che ero interessato alle linguine con arance rosse e tonno, ci ha scortato in cucina. Bordonaro ha saltato dell’aglio schiacciato in olio di oliva, e quindi ha aggiunto pezzi di tonno sott’olio e arancia, pressandoli con una forchetta a formare una pasta. Ha lasciato che il composto sobbollisse appena, quindi ha aggiunto un pizzico di prezzemolo e spremuto un po’ di succo. Scolata la pasta, ha aggiunto una manciata finale di polpa di arancia. La pasta era insieme scura e vivida. La polpa cucinata dava struttura; gli spicchi aggiunti alla fine la ravvivavano. Aveva l’intricato sapore di un ingrediente a tre stadi di cottura, qualcosa che si può solo rendere con un cibo complesso. Era acidula e dolce nello stesso tempo. 

Bordonaro ci ha servito la portata successiva, tarocchi tagliati a fette irregolari  e conditi con sale e fiocchi di peperoncino piccante e irrorati con olio di oliva fruttato: insalata di arance rosse. Era abbagliante. Il sale risvegliava l’asprezza, l’olio completava la dolcezza, e l’arancia rossa era acidula abbastanza da contrastare l’ardente peperoncino; un’arancia convenzionale non avrebbe resistito all’assalto. Giuffrida e Scifo capiscono la mia reazione e sorridono radiosamente come genitori orgogliosi. “Tutto qui?” ho chiesto a Bordonaro, aspettandomi un ingrediente segreto. “Si,” mi ha detto. “Solo arance rosse”.

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